Alzati, cazzo.

Tutti dicono che dovrei andarmene. Puf. Sparire dalla sua vita. Tutti quelli che non sono i NOSTRI amici, quelli con cui usciamo, quelli che vorrebbero vederci in buoni rapporti perché così sarebbe più facile e bello per loro. Quelli che sono fuori dicono che sono folle, folle a parlarle, folle a farle sapere che io sono pronta ad essere amica. Io non voglio esserle amica, quando non la vedo. Poi quando c’è sento che è così inevitabile per me. È inevitabile guardarla e cercare la sua complicità durante una battuta, è inevitabile chiederle se le vada tutto bene, e preoccuparmi se vedo una strana inflessione nel suo viso. Poi non c’è e la odio, la detesto, perché è stata una stronza e cazzo se lo è stata. Lo è stata quando stavamo insieme e io proteggevo le sue paure, che il giorno dopo che mi ha lasciato non esistevano già più. È stata una stronza a buttarsi tra le braccia di un’altra quando mi ha detto di voler star sola. È stata una stronza a mentirmi, e a mentirmi ancora quando non ce n’era più bisogno. È stata una stronza a farmi credere di essere sincera e a farmici cascare ancora, come sempre. È stata una stronza. Una adorabile è bellissima stronza.

 E quando i tuoi amici ti dicono “basta a farti prendere per il culo” di domande te ne fai. Tante. Troppe. Sono le risposte che non trovi, quelle che ti fanno chiedere perché sei ancora qua a pensarla quando dovresti buttarti e per una volta fregartene di far male agli altri. Dovrei pensare a me e penso a lei. Ma a lei ci pensa già qualcun altro. Qualcuno che le piace come io non le sono mai piaciuta. E ricado. Ricado sempre a terra.

Alzati cazzo.

Bilanci e sbilanciamenti.

Ieri è stato il mio compleanno. 28 anni, tanti e pochi allo stesso tempo. In un momento di vita in cui mi trovo a dover ricostruire me stessa a volte mi sembra di essere fuori tempo massimo, poi mi guardò intorno e penso che ho già un lavoro, una personalità formata e delle passioni costanti, e non mi sento così indietro.

Sto frequentando una persona, o meglio, c’è una persona lì, facile facile per me, con un lavoro, una casa tutta sua e tante cose che potrebbero piacermi. Un uomo, con tutte le cose semplici che una storia con un uomo potrebbe darmi, e mi chiedo se sia questo ad attrarmi, la facilità, la possibilità di un futuro così vicino. E non voglio certo accontentarmi, fraintendere le cose. Lui è tutto quello che non ho avuto per anni: uno che mi vizia, che mi fa trovare del buon vino, che mi vuole portare fuori a cena e fuori per il weekend, che mi spoglia e mi ripete quanto io sia bella, che mi porta a letto in braccio e si disinteressa di sé per mettermi al centro. Gli ho detto di non farsi illusioni, che io adesso prendo ciò che voglio. E lui lo sa, e mi dice che “magari cambierò idea”.

Poi c’è una tipa che mi piace, una che non conosco neanche e con la quale ho solo fatto qualche chiacchierata virtuale, ma che è in un periodo sbagliatissimo di vita, che è bella in modo assurdo, che potrei guardarla per ore e ascoltarla per giornate intere. Una per la quale potrei perdere la testa, se non mi avesse detto in modo risoluto di non essere pronta a mettersi in gioco.

E poi c’è lei, con la quale ho finalmente parlato in modo civile, che mi ha fatto vedere che lei esiste ancora sebbene io non la riconosca più. Ma l’ho trovata dentro i nostri sguardi, che esistono ancora. E non so se sia un bene o un male: odiarla è molto più facile, ma non ci sono mai riuscita fino in fondo. Vederla piangere mi fa ancora venire voglia di spaccare il mondo, e riderci insieme mi fa ancora pensare che il mondo merita di restare lì. Non la amo, questo lo so. Ma so anche che c’è un sentimento assurdo che ci lega, e che oltre la rabbia, la delusione, le foto di lei con l’altra, quel sentimento è ancora radicato dentro di me. Vorrò sempre il suo bene, e continuerò a pensare sempre che il suo bene sia io. Non che lei sia il mio, quello è una cosa appurata: io sto meglio senza di lei, sono felice da quando lei non c’è. Ma io penso di essere il suo bene, e ho paura di non liberarmi mai di questa sensazione, e ho paura di restare sempre in questo limbo. Tutti mi hanno detto quanto lei sia felice, ma io l’ho letta dentro e la felicità non l’ho vista. Ho visto una ragazzina che sta provando a crescere, ma non ho visto una donna felice. Lei mi ha scritto che noi esistiamo ancora, ed è vero. Ma io non posso fare a meno di pensare che forse non era tutto perso, e che la nuova lei, omosessuale dichiarata, disinibita e aperta, mi avrebbe reso felice più di quanto la vecchia non abbia mai fatto.

Ho bisogno di liberarmi da queste sensazioni. A 28 anni non posso perdere tempo a cercare cose del cazzo. Dovrei vivermi le cose, ma continuo a pensarci troppo. E sto diventando noiosa: annoio me e immagino quanto io abbia annoiato gli altri.

Passo e chiudo.

Va bene così.

Oggi sono passata sotto casa sua e non ho neanche guardato la sua finestra. E me ne sono resa conto adesso, che sono sotto le coperte e ho visto l’ennesima foto che sta postando da casa della sua nuova ragazza, e allora mi è venuta in mente. Mi rendo conto che respiro bene, che vivo bene, e che ciò che mi rammarica è il suo sbattermi in faccia una cosa che so già, fregandosene di tutto. E pensare che ha sempre detto che mi vuole un gran bene, che ferirmi la logora. Ma va bene così, la coerenza non è mai stata il suo forte, e per quanto mi riguarda ho chiaro in testa ciò che voglio, e non è lei. CIAONE!

Imposizioni.

Imporsi qualcosa a volte è l’unica soluzione.

Imporsi di svegliarsi la mattina per andare a lavorare, imporsi di finire quel libro rimasto a metà sul comodino, imporsi di risentire quel vecchio amico che non senti da un po’. Imporsi di mangiare nonostante lo stomaco dica di no, imporsi di non fare quell’ultimo drink per evitare di star male il giorno dopo, imporsi di ascoltare qualche bel consiglio.

Ma ci sono cose che per quanto te le imponi non riesci mai a realizzarle. Io me lo impongo di girare pagina, me lo impongo ogni cazzo di mattina appena apro gli occhi, me lo impongo ogni notte in cui mi sveglio di soprassalto e non riesco più a dormire. Poi però la vita va diversamente, e per quanto mi impongo di non pensare a lei, o di pensarla come un passato ormai remoto, lei è sempre qui. E mi impongo di non amarla, di odiare la sua insofferenza verso i rumori molesti, di odiare la sua imperturbabilità, di odiare il suo modo di fare. Ma poi salta fuori un fottutissimo ricordo e lei torna prepotentemente a farsi sentire, a far sentire il vuoto, a ricordarmi che “la felicità non è una truffa”.

E ieri sera al concerto de Lo Stato Sociale, ero felice, ero piena di entusiasmo, ma lei non c’era, o forse c’era più di quanto non dovesse esserci. C’era dentro ogni nota, c’era dentro ogni pensiero, c’era e invece non c’era, c’era e invece era chissà dove, e di sicuro non stava pensando a me. Che poi stavo bene, ho passato una bella giornata con un tipo che forse sarebbe anche quello giusto se non avessimo i cuori a pezzi. Ma ascoltavamo Brunori al ritorno e pensavamo ad altre persone, e allora a che serve darsi un bacio se non sono quelle le labbra che vorresti assaporare? Mi sono imposta di essere sincera con lui, e almeno questo mi è riuscito.

Ma come si fa a imporsi di non amare? Come si fa a far finta che il cuore non esploda ogni volta che immagino lei felice in un abbraccio che non è il mio? Io mi impongo di sperare che lei non torni, mi impongo di pensare che lei sia cambiata e non sia più quella che amavo. Ed è così, e so che è così. E chi cazzo ho amato io? Esisteva davvero o era una mia costruzione mentale? E se era una mia invenzione, riuscirò mai a cancellarla? Non è la donna della mia vita, non lo è per tante cose. Venerdì la guardavo e mi dava fastidio, quel suo essere così lo stavo odiando. Ma nel vuoto che lascia quando non si fa odiare non posso impormi di non sentire la sua mancanza. E oggi è domenica, e lei non c’è. E manca.

“E ti amo, e vaffanculo, ora mi sento più leggero.”

Barzellette.

Lei si è già innamorata. O così sembra. O così penso. O è davvero così evidente.

Lei si è innamorata di quella per cui avevo preso la sbandata io. E sì, so che sembra una barzelletta, ma a me non fa ridere. Si voleva prendere me, e adesso sì è presa Lei, riuscendoci. Si è presa ciò che era mio, si è presa le nostre discussioni sull’arte, le nostre chiacchierate su ogni cazzo di cosa, si è presa le sue labbra, si è presa i suoi occhi e si è presa il suo profumo. Si è presa Lei e la sua fragilità, il suo senso di solitudine, la sua voglia di cambiare dopo un po’ che le cose vanno verso la monotonia. E si sta prendendo adesso le sue farfalle sullo stomaco.

E per me c’è solo indifferenza, e rabbia per colpe che non ho, per invenzioni e fraintendimenti, per ipotetiche scenate che non ho fatto per cercare di essere meglio di come Lei mi descrive. Per cercare di essere la ventottenne che so di essere, quella ponderata, quella che le soluzioni le cerca e i dolori li affronta.

Ma lei sembra aver dimenticato la poesia che eravamo, sembra aver dimenticato tutto quello che io sto cercando faticosamente di ricordare per non odiarla, per riuscire a dire che l’amore che ho dato non è andato sprecato.

Magari sarà la storia più bella della loro vita. O magari un giorno mi rimpiangerà. So che adesso vorrei che il tempo volasse, per non dover vivere così, facendo un passo avanti e uno indietro.

Ricomincio da me.

Ricomincio da me. Dal mio tempo, “il tempo per me”. Dalla mia autostima dura da ricostruire, dai buoni propositi, dagli affetti che mi circondano. Ricomincio da mio padre con cui ho avuto il coraggio di fare coming out il giorno prima che Lei mi lasciasse, ricomincio dalla mia famiglia e dai miei amici. Ricomincio dal lavoro, mettendoci l’entusiasmo che è mancato per mesi. Ricomincio e magari smetto di mangiarmi le unghie, e magari capisco che non c’è niente di male a fare una birra coi vecchi amici, quelli che Lei non sopportava e che ho finito per non sopportare neanche io. Ricomincio dai miei libri e dai miei film, dalle mie serate a pensare a come migliorare il mondo. Ricomincio magari iscrivendomi in palestra. O magari no. Ma ricomincio decidendo per me.

Lei mi ha lasciato dicendo che voleva prendersi del tempo per sé stessa. Vuoi vedere, invece, che sono io quella che lo sta facendo davvero? Io che la sera la buonanotte me la do da sola.

  

Abituarsi alla fine.

E niente, alla fine non ce l’abbiamo fatta.
Ci ho messo un po’ a mettere insieme i pensieri, a incerottarmi il cuore, e a trovarmi a tu per tu con me stessa, ma adesso sono qui, davanti ad una schermata bianca ad ascoltare il rumore dei tasti, componendo di getto parole che sentono il bisogno di uscire. Parole che escono male, confuse, ma le lascio andare, come viene viene.

Non starò a spiegare al mondo il perché e il per come: non è colpa della mia sbandata, non è colpa della mia gelosia, lei dice che sono i sentimenti ad essere andati via, come se poi i sentimenti fossero degli uccelli migratori che stanno andando a cercare riparo contro il lungo inverno. Lei dice che ha bisogno di stare da sola, di capire chi è senza di me, e dice che era stanca di litigare, che adesso la mattina quando si sveglia si sente bene. Anche io mi sento bene, dopo giornate passate masticando sigarette e poco altro. Mi sento bene perché so di aver fatto tutto ciò che potevo: ero pronta a cambiare, ad adattarmi alla nuova Lei. Si sa, quando stai con una persona che vive un’altra età devi metterlo in conto, e io ero pronta a farle vivere i suoi anni, sapendo che comunque io e Lei eravamo la perfezione, che eravamo il destino l’una dell’altra. Ed ero pronta a metterci pazienza, se Lei me lo avesse permesso, se Lei mi avesse amata ancora. Invece ha deciso che era finita lì, che io non ero più giusta per Lei, e chissà cos’altro.

Certo, l’ultimo periodo non è stato bello, io ero diventata gelosa, lei era diventata sfuggente, e più io mi ingelosivo più lei sfuggiva, più lei sfuggiva più io mi ingelosivo. È così che si arriva alla fine, quando non si ha più voglia di parlare, di farsi da parte per il bene dell’altra. E così, Lei dice che siamo arrivate alla fine.

Io, se ci penso adesso, sento che forse ha fatto la cosa giusta, anzi, probabilmente l’ha fatta. Una storia così era deleteria, per entrambe. Ma mentre io ero pronta a prendere a cazzotti quel periodo di merda, lei ha preferito volare via, esattamente come quegli uccelli migratori che piuttosto che restare al freddo cercano il caldo da un’altra parte. E non so se lei abbia già trovato un altro posto, mi ha detto di voler stare da sola e forse dovrei crederci. Ma so che lo troverà. Io, per quanto mi riguarda, cercherò di coccolarmi un po’, di pensare a me, perché tra tutti gli errori che ho fatto, sicuramente non c’è quello di non averla messa al primo posto. Per me lei è stata una priorità, e la sua felicità è stata la mia felicità. Non ho neanche strappato le nostre foto, sono ancora belle appese, e se le guardo io la felicità me la ricordo. Grazie a Lei so che la felicità esiste, che l’amore è una cosa meravigliosa, e che in due si sta meglio che da soli. E nonostante il cuore incerottato, nonostante le lacrime amare, questo rimane. Lei rimane.

Home is where your heart is.

Ti ho detto che sei la mia casa, e so che lo sei.
E purtroppo di terremoti ne passano sempre, qui. Uno pensa che basti un po’ di stucco, qualche rinfrescata alle pareti, senza accorgersi che è alle fondamenta che bisogna sempre guardare.
Tu sei la mia casa, quella dove conservo i ricordi più belli, quella dove ho traslocato quando il mio cuore nomade era stato sfrattato dal castello fatato dell’infanzia.
E io non me ne vado.
Non lascerò chiusi in qualche scatolone i mille giorni passati insieme, ma non ti dirò che è su questi scatoloni che va costruito il futuro.
Il passato è importante, il passato è bello, e va rispolverato ogni tanto. Il nostro primo bacio, la nostra prima volta, le ore eterne passate in macchina, i tuoi compiti in classe, i miei messaggi di incoraggiamento prima delle verifiche di matematica, io che ti aspetto fuori da scuola, la visita in Accademia e la certezza che sarebbe stata la scelta giustam io che piango alla vigilia del mio primo giorno di lavoro perché non sono pronta a non vederti più tutti i giorni a tutte le ore, Roma con la Twingo, Parigi, Madrid, i tuoi amici che diventano anche miei, gli eterni dibattiti su arte, musica, cinema, i primi esami, i primi progetti, noi che diventiamo grandi, noi che ci facciamo la macchina nuova, e la prendiamo comoda per quando viaggeremo, noi che compriamo i piatti per quando andremo a vivere insieme. La tua laurea. Il giorno più bello della mia vita. Io che non sono mai felice, ma che quel giorno mi sorride il cuore. Io che ti guardo col tuo vestito rosso e penso che il cuore possa esplodere, lì, mentre mi presenti alla tua prof come “la tua compagna”.
Ed è tutto qua dentro, nelle scatole più belle, tutto così magicamente bello.

Ma non mi appellerò a questo per chiederti di accogliermi ancora. Per chiederti di accogliermi per sempre. Hai detto che non sai cosa sia questa tristezza che ti logora, che non lo sai se il problema sia io, sia quello che è successo, se sia tu.
Io so solo che ci sono delle volte in cui a casa si sta stretti: ci si guarda intorno ed è sempre tutto uguale, le solite quattro pareti, la strada dalla cucina al bagno che conosci a memoria, il frigo vuoto e le lavatrici da fare. Ma sai qual è il bello dello stare a casa? Che alla fine nessun letto sarà mai comodo come il tuo, nessun panorama sarà mai familiare come quello che sei abituato a vedere, e nessuna porta quando si chiude alle tue spalle sarà in grado di farti sentire così protetto. Tutti hanno bisogno di sentirsi a casa, anche quando la sera davanti alla TV spenta si immagina un futuro lontano. La casa, ognuno, se la porta dietro.
È a questo che mi appello io, alla possibilità di ristrutturarla insieme la nostra casa, di prendere delle tende nuove da cui filtrare il mondo, di archiviare i vecchi libri per leggerne di nuovi, di prendere il letto e di mettersi con “la testa a nord e le gambe dieci gradi a sud-est”. E ti prometto che ogni sera sarà magico entrarci dentro, che prenderemo un tavolo robusto dove ripararci quando ci saranno altre scosse, e lo faremo abbracciandoci, perché forse è proprio nel tuo abbraccio che io mi sento a casa.

È autunno, ed è già freddo. E io sono qui fuori con un mazzo di fiori, con mille scuse per gli errori e le mancanze, e con un’infinità di amore. Ascoltami, amore mio. Sto bussando alla tua porta. Lasciami entrare.

original

Il cerchio della vita.

Il 03 settembre del 2005 è una di quelle date che ti porti dietro come un fardello. Una di quelle giornate che mi ricorderò sempre dov’ero, mi ricorderò sempre il suono del telefono e la voce spezzata di mia sorella che mi diceva “è finita”, la consapevolezza che mamma aveva aspettato che io fossi andata via prima di spegnersi, per proteggermi ancora una volta. Mi ricorderò sempre la sigaretta fumata sulle scale dell’ospedale, seduta a terra senza forze. È il capolinea della mia infanzia, della mia spensieratezza. Da lì ogni cosa ha avuto un gusto più amaro. La mia maturità, la laurea di mia sorella, i piccoli grandi cambiamenti, le soddisfazioni e i traguardi. Tutto è sempre stato mozzato, il mio stesso cuore è rimasto a metà. Fino a due giorni fa. Il 01 settembre 2015, 10 anni dopo, noi eravamo in un’altro spedale, in un’altra sala d’aspetto, in attesa della notizia più bella di sempre. Il 01 settembre 2015 sono diventata zia, mia sorella è diventata madre, lei che da madre ha fatto a me, sacrificando parti di sé che nessuno le restituirà mai. Tranne Lui, il piccolo Sebastiano, che è riuscito a ricucire i brandelli che ci portavamo dietro, che ci ha ricostruito il cuore per riempirlo tutto. E lo so quanto mamma sia mancata, quanto mancherà, e quanto pesi più che mai adesso la sua assenza. Ma quando il cerchio della vita si chiude ti rendi conto che davvero “quello che il cuore dona non è perduto, rimane nel cuore di chi è amato.”

Buona vita piccolo mio, spero che riusciremo a farti amare la nonna anche se non potrai conoscerla. E spero che con le nostre parole e il nostro amore sapremo trasmetterti la sua grandezza. E chissà che non troveremo un po’ di Lei in te, oltre a tutto questo amore che Lei ci ha insegnato a donare.